Vita indegna di essere vissuta

Questo manifesto del 1938 recita: «60.000 Reichsmark è ciò che questa persona con malattie ereditarie costa alla comunità durante la sua vita. Tedesco, questo è anche il tuo denaro. Leggi Neues Volk, il mensile dell'ufficio per la politica razziale del NSDAP».

Con la frase "vita indegna di essere vissuta" (in tedesco Lebensunwertes Leben) s'intende la denominazione, interna al glossario della Germania nazista, con cui venivano indicati certi segmenti di popolazione a cui, secondo il regime del tempo, non doveva essere concesso il diritto alla vita e che andavano dunque eliminati per eutanasia; fra costoro erano incluse le persone affette da gravi problemi di salute fisica o mentale e quelle ritenute gravemente inferiori sulla base della rigida politica razziale nella Germania nazista.

Il concetto è stato una componente fondante dell'ideologia del nazionalsocialismo e la sua applicazione sistematica ha portato col tempo al genocidio di varie minoranze nella stessa popolazione tedesca e alla Shoah[1].

Il programma di eutanasia nazista era conosciuto come Aktion T4: adottato ufficialmente a partire dal 1939 attraverso una decisione personale di Adolf Hitler, il programma è cresciuto in estensione e portata oltre il 1941, quando era stato ufficialmente chiuso, fino al 1942, quando varie proteste pubbliche lo hanno fattivamente di molto rallentato; nonostante questo, negli anni successivi il programma è stato gradualmente integrato nel sistema dei campi di concentramento continuando fino al 1945 e diventando di fatto parte integrante dell'Olocausto[2][3][4].

  1. ^ The Nazi Doctors: Medical Killing and the Psychology of Genocide Archiviato il 14 settembre 2007 in Internet Archive. by Dr. Robert Jay Lifton (holocaust-history.org)
  2. ^ The Gypsies of Eastern Europe, David Crowe, John Kolsti, Ian Hancock, Routledge, 22 Jul 2016, pg31
  3. ^ Henry Friedlander (1995), The Origins of Nazi Genocide: From Euthanasia to the Final Solution, University of North Carolina Press, p. 163..
  4. ^ Suzanne E. Evans, Forgotten crimes: the Holocaust and people with disabilities, p. 93, ISBN 1-56663-565-9.

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